Presentazione del caso

La società Alfa S.r.l. in liquidazione è creditrice nei confronti della banca Beta quanto alla restituzione di somme iscritte in conto corrente per un ammontare complessivo, verificato successivamente alla liquidazione, di Euro 457.167,97. Alla pretesa della società, nel frattempo volontariamente cancellatasi dal registro delle imprese, la banca risponde, trascorsi tre mesi dalla predetta cancellazione, mediante una lettera raccomandata, indirizzata sempre ad Alfa S.r.l. in liquidazione e pervenuta peraltro all’indirizzo della vecchia sede, con cui viene eccepito il mancato pagamento delle ultime rate di una somma a suo tempo prestata a mutuo, per un complessivo ammontare di Euro 402.649,22. Tizio e Caio, ex amministratori della società Alfa S.r.l. ormai estinta, si recano dunque da un avvocato per sapere se e in che misura la pretesa di Beta sia esigibile, e del pari quale sia il destino del credito vantato da Alfa nei confronti della banca Beta.

Istituti rilevanti e riferimenti normativi

  • Cancellazione della società (articolo 2495 Cod. civ.)
  • Fallimento dell’imprenditore che ha cessato l’esercizio dell’impresa (articolo 10 L.F.)

L’articolo 2495 Cod. civ. stabilisce che, una volta approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese.

Al secondo comma si specifica poi che, ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione – ossia in misura non superiore a tali somme – oppure nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da loro colpa. Sul piano processuale, domanda in tal senso può essere proposta notificando la relativa citazione – sempre che si agisca entro un anno dalla cancellazione della società – presso l’ultima sede della società.

Tale norma è figlia della riforma organica del diritto societario attuata dal D.lgs. n. 6 del 2003: nelle modifiche apportate dal legislatore al testo dell’articolo 2495 Cod. civ. (rispetto alla formulazione del precedente articolo 2456 Cod. civ., che disciplinava la medesima materia) è insita, come ha avuto modo di rilevare recentemente la Corte di Cassazione, una profonda valenza innovativa.

Infatti, la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese, che nel precedente regime normativo si riteneva non valesse a provocare l’estinzione dell’ente, qualora non tutti i rapporti giuridici a esso facenti capo fossero stati definiti, è ora invece da considerarsi senz’altro produttiva di quell’effetto estintivo: effetto destinato a operare in coincidenza con la cancellazione, se questa abbia avuto luogo in epoca successiva al 1 gennaio 2004, data di entrata in vigore della citata riforma, o a partire da quella data se si tratti di cancellazione intervenuta in un momento precedente.

In via residuale, come conseguenza indiretta dell’avvenimento estintivo, può venire in rilievo la disposizione contenuta nell’articolo 10, primo comma della Legge Fallimentare, che prevede come gli imprenditori individuali o collettivi – ed è il nostro caso – possano essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo.

Trattazione

Proprio il dato accennato supra sembra essere, per così dire, la “pietra miliare” da cui muovere per una corretta ricostruzione del quadro normativo rilevante: a partire dalle appena accennate sentenze gemelle Cass. Civ., SS. UU., nn. 4060, 4061 e 4062 del 2010 pare un’affermazione del tutto pacifica il sostenere che la cancellazione di una società dal registro delle imprese determini l’estinzione della società medesima.

Opererebbe quindi un meccanismo presuntivo di estinzione, superabile soltanto ove si sia in grado di dimostrare che la società abbia, in realtà, anche dopo l’avvenuta cancellazione dal registro delle imprese, continuato ad operare e, quindi, esistere (in quest’ultimo caso si presume che la società non abbia mai cessato, medio tempore, di esistere e si procederà d’ufficio ai sensi dell’articolo 2191 Cod. civ., mediante una sorta di cancellazione della cancellazione).

Fermo tale principio, va tuttavia escluso che la cancellazione dal registro delle imprese, pur provocando – si è detto – l’estinzione della società, determini al tempo stesso l’estinzione dei debiti insoluti che la società aveva nei confronti di terzi, per intuitive ragioni di legittimo affidamento di questi ultimi. Se così fosse, si consentirebbe all’ente debitore di disporre unilateralmente del diritto altrui, imponendo un ingiustificato sacrificio al diritto dei creditori.

Come si accennava prima, dunque, dopo la cancellazione dal registro delle imprese, la legge ammette che i creditori sociali possano agire, per il recupero del proprio credito, nei confronti dei singoli soci, sino alla concorrenza di quanto questi ultimi abbiano riscosso in base al bilancio finale di liquidazione.

Ciò è espressamente fissato dall’articolo 2495, secondo comma Cod. civ., che ammette anche la possibilità di agire (per il risarcimento dei danni) nei confronti del liquidatore, se il mancato pagamento del debito sociale sia dipeso da colpa di costui.

La stessa regola vale anche per le società in nome collettivo (articolo 2312 Cod. civ. – in questa ipotesi, ovviamente, non opera la limitazione di responsabilità di cui godono i soci di società di capitali, e non è evidentemente questo il caso di Alfa) e per la società in accomandita semplice (articolo 2324 Cod. civ. – l’accomandante risponde solo entro i limiti della sua quota di liquidazione).

La ratio di dette norme è evidentemente quella di impedire che la società debitrice possa, con un proprio comportamento unilaterale (la cancellazione dal registro delle imprese), che sfugge al controllo del creditore, espropriare quest’ultimo del suo diritto.

Ecco dunque che, leggendo l’ultima pronuncia in merito, ossia Cass. Civ., SS. UU. n. 6070/2013, si comprende bene come la possibilità concessa ai creditori sociali di agire, successivamente alla cancellazione della società debitrice, nei confronti dei singoli soci è ricostruita dalla Suprema Corte in termini (almeno lato sensu) successori: “come nel caso della persona fisica la scomparsa del debitore non estingue il debito, ma innesca un meccanismo successorio nell’ambito del quale le ragioni del creditore sono destinate ad essere variamente contemperate con quelle degli eredi, così, quando il debitore è un ente collettivo non v’è ragione per ritenere che la sua estinzione (alla quale, a differenza della morte della persona fisica, concorre di regola la sua stessa volontà) non dia ugualmente luogo ad un fenomeno di tipo successorio, sia pure sui generis, che coinvolge i soci ed è variamente disciplinato dalla legge a seconda del diverso regime di responsabilità da cui, pendente societate, erano caratterizzati i pregressi rapporti sociali”.

Dunque, alla luce di quanto individuato dalla Cassazione prima nel 2010 e poi nel 2013, si evince che Tizio e Caio saranno eventualmente responsabili nei confronti della banca Beta – alla stregua di “eredi” della società ormai “defunta” – pro quota di un debito accertando imputabile alla società Alfa ormai estinta, ma solo nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, essendo Alfa stata strutturata come S.r.l.

Diverso discorso va fatto riguardo al credito vantato nei confronti della banca, poiché, mentre nel caso dei debiti sociali rimasti insoluti esistono norme di legge che, come si è appena visto, consentono di stabilirne la sorte al momento della cancellazione della società dal registro delle imprese, la legge tace in ordine alle conseguenze della cancellazione per i crediti sociali e i residui attivi non liquidati.

A parere della Suprema Corte, in questo caso occorre distinguere, da un lato, le mere pretese e i crediti controversi (non liquidi ed esigibili); dall’altro, i residui attivi non conosciuti al momento della cancellazione.

Nel caso di mere pretese e crediti controversi si dovrebbe presumere che la scelta della società di cancellarsi dal registro senza tener conto di una pendenza non ancora definita, ma della quale il liquidatore aveva (o si può ragionevolmente presumere che avesse) contezza, sia da intendere come una tacita manifestazione di volontà di rinunciare a quella pretesa. In altre parole, si presume che il liquidatore abbia privilegiato una più rapida conclusione del procedimento estintivo piuttosto che svolgere ulteriori attività volte ad azionare pretese, far accertare un credito, renderlo liquido ed esigibile.

Nel caso, invece, di residui attivi non liquidati che, se conosciuti, sarebbero stati suscettibili di ripartizione tra i soci, si dovrebbe applicare lo stesso meccanismo successorio che vale per i debiti non pagati: il fatto che, al momento della cancellazione, sia mancata la liquidazione di quei beni o di quei diritti, il cui valore economico sarebbe stato altrimenti ripartito tra i soci, comporta che, estinta la società, s’instauri tra i soci, ai quali quei diritti o quei beni appartengono, un regime di contitolarità o di comunione indivisa.

Sembra essere proprio questo il caso di Alfa S.r.l., che, come si evince dalla traccia, è creditrice nei confronti della banca Beta per Euro 457.167,97; si tratta proprio, dunque di residui attivi successivamente accertati, che, in quanto iscritti nel conto corrente di Alfa, se fossero stati esattamente quantificati sarebbero stati certamente ripartiti tra i soci come attivo.

I soci di Alfa S.r.l., quindi, similmente a quanto avviene per le successioni mortis causa, saranno contitolari per quanto riguarda le predette somme.

Naturalmente, ciò ha delle ricadute anche su un piano processuale, poiché una società non più esistente, perché cancellata dal registro delle imprese, non può validamente intraprendere una causa, né esservi convenuta.

Una sola eccezione, destinata a operare, si badi bene, solamente nell’ambito della procedura fallimentare, è prevista dall’articolo 10 della Legge Fallimentare.

Come è noto infatti, detta norma espressamente prevede che una società, entro l’anno dalla sua cancellazione dal registro delle imprese, possa essere dichiarata fallita.

In astratto, rebus sic stantibus, questo è l’unico modo che la banca Beta può utilizzare per “aggirare” l’articolo 2495 Cod. civ. e “rimettere in gioco” Alfa S.r.l. allo scopo di esigere da questa il suo credito, in quanto ciò comporta necessariamente che, tanto il procedimento per dichiarazione di fallimento quanto le eventuali successive fasi di impugnazione, si svolgano, nonostante la cancellazione, nei confronti della società (e, per essa, del suo legale rappresentante).

Si tratta, come puntualizzato dalla Suprema Corte, di una fictio iuris, che postula come esistente, ai soli fini del procedimento concorsuale, un soggetto ormai estinto.

A seguito della cancellazione di Alfa S.r.l. dal registro delle imprese, è bene ribadirlo, nessun’altra strada è più praticabile per i creditori sociali, perché alla sopravvenuta estinzione della persona giuridica che sia parte in una causa, consegue la sua perdita della capacità di stare in giudizio: prova ne sia che se vi fosse stato un processo in corso al momento della cancellazione, la legittimazione sostanziale e processuale, attiva e passiva, si sarebbe trasferita automaticamente, ex articolo 110 c.p.c. (“successione nel processo”), dalla società ai soci.

Si sarebbero applicate, quindi, le disposizioni di cui agli articoli 299 e seguenti c.p.c., in tema di interruzione e di eventuale prosecuzione o riassunzione della causa.

Conclusione

Dall’esame delle norme venute in rilievo, e della corrispondente giurisprudenza di legittimità, si evince come il tema centrale, e largamente dibattuto, sia quello legato alla cancellazione della società dal registro delle imprese: la sorte dei rapporti sostanziali non definiti in fase di liquidazione e di quelli processuali in essere al momento della cancellazione.

La Suprema Corte, partendo dall’analisi degli effetti sostanziali della cancellazione (sia in ordine ai debiti sociali rimasti insoluti, sia in ordine crediti ed ai residui attivi non liquidati) e spostando, poi, l’attenzione sul piano processuale, ha dunque enunciato i seguenti principi di diritto: “Qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato”. Quindi, per quanto riguarda il destino dei residui attivi non liquidati, costituiti dalle somme iscritte nel conto corrente societario e non restituite al momento della cancellazione, essi saranno senz’altro attribuiti ai soci, nel quadro, come si diceva, di un regime di contitolarità o di comunione indivisa.

Per quanto concerne le pretese della banca Beta nei confronti di Alfa S.r.l., essendosi questa ormai volontariamente cancellata dal registro delle imprese, essa potrà servirsi unicamente dell’articolo 2495, secondo comma Cod. civ., agendo quindi esclusivamente nei confronti dei singoli soci, nei limiti, tuttavia, di quanto questi ultimi abbiano riscosso in base al bilancio finale di liquidazione – trattandosi per l’appunto di una S.r.l., ove dunque i creditori sociali non possono attaccare il patrimonio dei soci – e nei confronti dei liquidatori, se il mancato soddisfacimento delle sue pretese sia a loro imputabile.

L’unica possibilità per la banca Beta di agire direttamente contro la società Alfa S.r.l. – pur trattandosi di un’ipotesi assolutamente teorica e, nel nostro caso, eventuale – non può essere che quella di avvalersi della fictio contemplata dall’articolo 10, primo comma L.F., presentando istanza di fallimento nei confronti della società de qua entro un anno dalla sua cancellazione, essendo quest’ultimo atto del tutto preclusivo in punto di legittimazione passiva per la posizione di Alfa S.r.l., come si può chiaramente evincere dall’interpretazione del tema recentissimamente affrontato dalle Sezioni Unite: “La cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società medesima, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio. Se l’estinzione della società cancellata dal registro intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interattivo del processo, disciplinato dagli artt. 299 e segg. c.p.c., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci. Ove invece l’evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta”.